Onorevoli Colleghi! - Ritorna in questi giorni il tema della crisi e dei costi della politica. Si tratta, in realtà, dell'«eterno ritorno» della necessità di ricomporre la divaricazione fra le istituzioni e i cittadini. Il fenomeno dell'astensionismo anche nelle ultime tornate elettorali ne è solo il segnale più evidente. Recenti sondaggi e inchieste hanno rilevato che la stragrande maggioranza degli italiani non ha più fiducia nei partiti e auspica, conseguentemente, l'istituzione delle elezioni primarie come possibilità di incidere concretamente nella formazione delle scelte politiche attraverso la designazione dei candidati. L'introduzione delle elezioni primarie è quindi percepita come un passaggio indispensabile di rinnovamento e di recupero di democraticità degli stessi partiti politici.
      L'argomento è stato ampiamente trattato dagli studiosi ed è stato affrontato anche in sede parlamentare nella IX legislatura. Fu infatti proposta dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali una modifica dell'articolo 49 della Costituzione che prevedeva l'innovazione delle elezioni primarie. Tale proposta fu formalizzata nella relazione di maggioranza presentata alle Presidenze delle Camere il 29 gennaio 1985. È noto che, per molteplici motivi, l'obiettivo delle riforme non fu raggiunto. Da allora sono passati ventidue anni e molte cose sono cambiate. Crediamo siano maturi i tempi, in considerazione

 

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anche delle richieste che salgono dalla società civile, per offrire ai partiti politici la possibilità di farsi strumenti di reale partecipazione popolare.
      Oggi si ripropone, con alcuni aggiustamenti, quella proposta, facendo nostro quanto si dichiarava al paragrafo 3.2 della relazione sopra menzionata: «A proposito della già ricordata tendenza dei partiti a straripare dalle funzioni loro proprie, a sviluppare una eccessiva concorrenzialità e ad occupare le istituzioni, nella Commissione si sono manifestate perplessità ad intervenire legislativamente all'interno dell'autonomia dei partiti, che debbono conservare il carattere di associazioni volontarie; vi è tuttavia disponibilità ad esplorare soluzioni normative che migliorino la democraticità delle strutture e della dialettica interna, la disciplina del finanziamento sia privato sia pubblico (eventualmente configurandolo almeno in parte come erogazione di servizi e garantendo in ogni caso una equilibrata distribuzione tra organizzazioni centrali e periferiche), del regime patrimoniale, del sistema delle incompatibilità (da perfezionare e rendere più rigoroso, anche sulla linea della non rieleggibilità, per rompere le cristallizzazioni di potere sorte un po' dovunque), dei meccanismi per la selezione dei candidati alle competizioni elettorali anche mediante elezioni primarie, al fine di rendere meno opaco il rapporto dei partiti con le istituzioni da un lato, con i cittadini dall'altro. È però soprattutto necessaria un'autoriforma dei partiti stessi, che può essere agevolata da un sistema di freni esterni e dall'influenza indotta di altre misure (revocabilità dei Ministri, disciplina delle nomine negli enti pubblici, modifica del meccanismo delle preferenze, eccetera) e della revisione complessiva dell'ordinamento, che promuove coerentemente il rientro dei partiti entro argini di maggiore correttezza: argini assai più stringenti, in concreto, di norme giuridiche di difficile elaborazione e di ardua attuazione in un ambito particolarmente delicato.
      I partiti, nella loro funzione unificante, debbono restare il perno del nostro sistema politico, senza tuttavia monopolizzarlo, e quindi lasciando spazio ad altre formazioni sociali, come le associazioni, i comitati, i gruppi, le leghe che si formano nella società intorno a problemi specifici».
      Qualcuno ha denunciato la paralisi del sistema e altri invece hanno parlato di democrazia bloccata. Se tutto questo è vero non si può restare indifferenti e pertanto la proposta di modifica dell'articolo 49 della Costituzione si appalesa come un contributo in sintonia con le aspettative della stragrande maggioranza degli italiani.
 

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